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L’imprenditore della P.M.I. tra passato, presente e futuro

Nel 1996 lo scrittore e giornalista del Corriere della Sera Gianantonio Stella pubblicava il libro “Schei” (termine veneto per indicare, in modo un po’ dispregiativo, i soldi come essenza e fine di tutto), un testo raffigurante in modo magistrale lo spaccato dell’economia delle piccole e medie imprese “Nordestine” nel dopoguerra, che si è rivelato premonitore fino ai giorni nostri.

In ogni pagina del libro, a quel tempo, riconoscevo vizi e virtù degli imprenditori veneti: Stella li descriveva come appassionati, ossessionati dal loro prodotto (spesso geniale e perfetto), dai bilanci con fatturati sempre in crescita, ma incapaci assolutamente di delegare: il mantra alla fine di ogni scelta o di ogni lavoro eseguito dai collaboratori era “non va bene così, dammi qui che faccio io...”.

E questo nonostante tutte le analisi e i team di lavoro composti da esperti e neolaureati, spesso alla fine demotivati, rassegnati a svolgere ruoli di routine e destinati a operare senza poter esprimere tutto il loro potenziale a beneficio dello sviluppo dell’organizzazione aziendale. Con tutto ciò che ne consegue.

Imprenditori che la competenza finanziaria se l’erano costruita “sulla strada”: un po’ di perspicacia e ingegno, ma anche competenze economiche e finanziarie non solide. Impresari “dipendenti” solo dal fido Commercialista, la cui area operativa, caratterizzata da tecnicismi giuridici/fiscali, richiedeva di lasciarli fare in discreta autonomia. Da ultimo, sempre magistralmente descritta da Stella, uomini la cui sfera privata faceva da contraltare a giornate di dannato sacrificio: soldi investiti in appartamenti, barche, supercar tedesche, orologi.

L’imprenditore Nordestino di fronte alla digitalizzazione

Il profilo descritto potrebbe sembrare una caricatura irrispettosa (cosa che assolutamente non vuole essere) o in alcuni casi forzata, e ovviamente tralascia le eccezioni. Nonostante i tratti sottolineati, risulta ad ogni modo il profilo di una figura che ha creato lavoro e grande benessere nel territorio.

È un modello vincente, quello degli imprenditori del nordest, studiato in tutto il mondo per lo straordinario sviluppo che ha saputo produrre in un territorio che usciva dalla guerra. E questo modello, certamente con alcuni cambiamenti, è rimasto lo stesso fino ai nostri giorni, fino all'arrivo nel 2019 della pandemia.

Questa, infatti, ha incredibilmente accelerato la sensazione e la consapevolezza che la rivoluzione digitale (la digital disruption) stava cambiando definitivamente il futuro della dimensione sociale ed economica nel territorio.

In realtà, già da prima di questi scenari, la digitalizzazione della società stava portando un cambiamento epocale alle nostre vite. La pandemia ha aperto uno squarcio e ha fatto chiarezza, nel tessuto economico imprenditoriale, riguardo la convinzione e la consapevolezza che il modello dell’impresa produttiva di beni e servizi andava cambiato per adeguarsi a questa realtà.

È un cambiamento, quello che stiamo vivendo, alla stregua di quello avvenuto con l’invenzione del telaio e della macchina a vapore, del telefono e dell’elettricità. In effetti studiosi e storici dell’economia lo confermano: siamo nella quarta rivoluzione industriale. Siamo nell’economia non solo dell’informatica e dell’automazione ma, in aggiunta, della connessione digitale globale: connessione sia tra persone e persone che tra persone e aziende; connessione tra uomini, macchine, robot collaborativi e computer. E ancora, è l’economia del passaggio digitale di informazioni tra aziende fornitrici e clienti fino al consumatore finale.

Per mettere a regime questo sistema è necessario rianalizzare e riorganizzare i processi (nuovi modelli di impresa), scegliere hardware e software adeguati, determinare come gestire i dati, verificare la finanziabilità dei progetti e gestire, soprattutto, il capitale umano che deve progettare e rendere operativi questi processi.

Il nuovo modello di imprenditore “collaborativo”

Può questa figura di successo, che ha alimentato lo straordinario sviluppo di cui si è detto sopra, continuare a gestire tutto ciò individualmente ed egocentricamente? Crediamo di no.

Paradossalmente, le tecnologie richiedono una cultura della collaborazione. Una cultura aziendale improntata all’apertura e alla comprensione nei confronti delle tecnologie digitali e in cui sono radicate capacità quali la curiosità e comportamenti quali la sperimentazione.

Un recente studio della fondazione Nordest (Nordest 2030) dimostra, numeri alla mano, che le aziende già in movimento verso queste direzioni organizzative (medio alto grado di digitalizzazione) stanno producendo utili, mentre le altre (bassa digitalizzazione e cultura del dato), se non acquisite da grandi gruppi esteri che stanno facendo shopping, stanno già segnando il passo.

Esiste allora un nuovo modello imprenditoriale, un archetipo, anche di piccolo imprenditore, attorno al quale tracciare le coordinate per un nuovo modello di business nelle piccole medie imprese?

Si sta delineando: è un modello caratterizzato non dalla individualità, ma da gruppi (team) di persone collaborative e competenti nelle diverse aree aziendali affiancate all’imprenditore.

Team a cui sia fornita formazione continua, nelle tecnologie digitali ma anche nelle cosiddette soft skills: capacità di analisi dei problemi, pensiero critico, intelligenza emotiva, resistenza alle pressioni (The future of work, World Economic Forum, 2021). Team caratterizzati anche dalla cultura dell’accettazione degli errori e delle battute d’arresto: team che apprendono dagli errori e reagiscono.

In questo modello, all’imprenditore spetta sempre un compito fondamentale: oltre quello di favorire le opportunità di formazione e crescita nelle aree sopradescritte, anche il compito di percepire, scegliere e mettere in moto i modelli più promettenti.

In fondo l’imprenditore degli anni ‘90 (e i suoi successori) hanno un compito chiaro per continuare ad avere successo imprenditoriale: impegnarsi nel mettere a frutto la propria intelligenza (su cui non si discute, dati i risultati) e sostituire la parola individualismo con il concetto di collaborazione globale: motivare le persone a innovare e condividere il successo aziendale farà nascere "magicamente" dalle aziende beni e servizi di successo.

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